Archive for the ‘observations’ Category

ti va la teoria o la pratica?

March 10th, 2012

Ci sono delle occasioni in cui si vorrebbe avere una conversazione più approfondita, comunque bisogna sbrigarsi entro un certo orario prestabilito. Allora si fanno domande un po' banali, un po' ingenue, cui non ci sono risposte molto soddisfacenti.

Una volta mi è stato chiesto: tu preferisci avere a che fare con la teoria oppure con la pratica? Non mi ricordo cosa risposi, però più tardi mi accorsi che non era una domanda molto sensata.

In fondo non esistono quelle due cose separatamente. Di solito si parte da uno scopo preciso, per esempio: disintasare il lavandino perché non scorre bene l'acqua.

Quindi si fa un lavoretto per risolvere il problema. Magari facendolo si scopre che cosa ha causato l'intasamento. Per esempio: si sono trovati dei pezzi troppo grandi per poter passare facilmente attraverso le tubature. Bene, abbiamo un'ipotesi: bisogna evitare pezzi troppo grandi, altrimenti s'intasa il lavandino. Se questo succede di nuovo avremo l'opportunità di confermare oppure confutare l'ipotesi che abbiamo fatto.

Nel frattempo, potremmo applicare l'ipotesi nella speranza di anticipare il problema.

Dunque, siamo passati dalla pratica alla teoria e poi, applicando la teoria, si torna di nuovo alla pratica. In effetti, questa è una catena di cui fanno parte i due concetti. Non ha molto senso chiedersi quale dei due è più importante, più utile ecc.

La teoria si fonda sulle fondamenta di un'esperienza. Senza sperimentazione non c'è teoria. Invece la pratica necessita della teoria per riuscire meglio nelle cose che si fanno. Non c'è dubbio che un medico istruito riuscirà molto meglio nel curare un paziente che un dilettante. Però è altrettanto vero che il medico ha bisogno non soltanto di istruirsi teoricamente ma anche di fare un bel po' di pratica per capire come applicare questa teoria nei vari casi che incontrerà. Altrimenti rimarrà una competenza molto meno utile.

il tempismo nello scrivere

March 9th, 2012

È stato detto da comici professionisti che durante lo spettacolo una battuta trasmessa dal comico al pubblico ha una sua esistenza nel tempo. Cioè, bisogna sapere come raccontare una barzelletta, il tono da usare, dove mettere l'enfasi e così via, ma anche dove mettere le pause, quanto far aspettare il pubblico per poi farlo ridere ancora più forte. In questo senso il tempo è fondamentale. Non bisogna fare troppo in fretta, ma neanche aspettare troppo. Una battuta riesce quando è impiegata proprio nel momento giusto, quando c'è da usufruire, diciamo, una tensione, un'aspettativa che vuol essere appagata.

Ecco, spesso nello scrivere provo una sensazione analoga. È chiaro che non si tratta di un pubblico, però questo senso di tempismo mi molesta ogni tanto. Spesso mi viene in mente qualcosa che potrebbe essere un argomento di cui scrivere, comunque sono fuori di casa oppure sono a letto la sera. Mi sembra che se avessi l'opportunità di elaborare quest'idea nel momento stesso potrebbe venir fuori qualcosa di bello, però se devo aspettare qualche ora non è più lo stesso.

È come ricevere un regalo. Fin quando è sempre un regalo confezionato e non si capisce che ci sia dentro, si può aspettare a lungo. Però appena cominci a rompere l'involucro e scopri anche soltanto il colore dell'oggetto che sta dentro è già cominciato il processo della scoperta che non si lascia interrompere per essere ripreso tranquillamente più tardi.

Va beh! Non è l'analogia più esatta, però rende l'idea almeno un po'.

comincia la giornata da creatore

March 6th, 2012

Oggi niente battute (chiedo perdono). Voglio mettere in evidenza un'idea che ritengo molto importante.

La vita conosce i suoi sbalzi: di umore, di livelli di energia ecc. A volte siamo pieni di buona volontà, ma poi passa il momento, la vita va avanti e dimentichiamo quei bei propositi. Questo è un peccato, specialmente perché spesso ci vengono in mente proprio quando non riusciamo a farci niente, per esempio quando siamo in treno, quando dobbiamo studiare per un esame ecc. Se avessi il tempo lo farei proprio adesso, ma purtroppo...

Invece poi viviamo momenti in cui il tempo onestamente non ci manca, però non riusciamo a impiegarlo bene. Per i lavoratori questo tempo è senz'altro il fine settimana, quel weekend a cui stiamo pensando da martedì in poi, dico bene? :) Mi sono accorto che se prima del fine settimana so di avere vari compiti da svolgere riesco a farli e ad essere abbastanza efficace. Però se questo bisogno non c'è allora è per lo più tempo perso.

Si dice che quando c'è un compito da svolgere e c'è un periodo in cui bisogna svolgerlo, allora il compito tende ad assorbire tutto il tempo possibile. Detto in altre parole, se sai di dover fare qualcosa in poco tempo lo fai in fretta, perché non c'è tempo da perdere. Se invece hai a disposizione tutta la giornata non è che devi necessariamente cominciare subito, puoi benissimo farlo un po' più tardi. Lo riconosci questo ragionamento? Scommetto di sì.

Allora che fare? Ho cominciato col dire che a volte abbiamo tutti questi bei propositi, nevvero? Ecco, bisogna cominciare da questo. Ti svegli la mattina, è sabato, potresti fare qualcosa di utile però non c'è fretta. Invece fallo, fallo prima di fare altro, perché è quello che ti darà soddisfazione. L'altro giorno ho letto un articolo che parlava proprio di questo. Il punto è: comincia la giornata da creatore, non da consumatore. Quindi da agente, da quello che agisce, che ha la voglia di fare delle cose, non da quello che reagisce a ciò che la vita gli impone. Mi piace dirlo così, perché creare (va intenso in senso esteso) è cosa bella.

i luoghi comuni sono un male?

February 21st, 2012

Eh già, una domanda ingenua che presuppone una risposta semplice che non esiste, me ne rendo conto. Però, in che senso la pongo?

È già un luogo comune in sé che i luoghi comuni siano dannosi perché raggruppano delle persone, ognuno con i suoi particolari individuali, in un'unica categoria assegnandole delle caratteristiche che dovrebbero in qualche modo valere per tutti quanti.

Spesso si tratta di opinioni critiche, ma se non fosse così?

Tempo fa ho conosciuto un tizio di provenienza turca, il quale però ha vissuto in Olanda per una vita. E poi, a un certo punto, si convinse che veramente vorrebbe andare in Norvegia, la cui gente sarebbe così simpatica ed accogliente. Non dico che non sia vero che gli olandesi possano essere un po' freddi (è questo che disse lui), però l'idea che in Norvegia queste cose stiano molto meglio un po' mi stupì. Ci vissi a lungo e ho sempre sentito dire dagli immigrati che i norvegesi sono gentili ed accoglienti sì, ma che sia una gentilezza molto superficiale, nel senso che appena tu cerchi di stringere amicizie vere si tirino indietro. Siccome non sono stato immigrato in Norvegia non sono in grado di esprimermi sulla questione, però so che è un luogo comune molto diffuso.

Oppure prendiamo il caso mio. Bene, io mi sento stimolato a studiare l'italiano, il francese, magari anche lo spagnolo. Come mai? In buona parte perché ho un'impressione positiva di questi popoli. Sono incuriosito da varie culture, non soltanto da quelle lì, però da quelle più che dalle altre. È sempre vero che non ho mai vissuto in questi posti, li ho visti da turista, e può darsi che ne avrò visto solo il lato migliore o almeno un insieme di aspetti per lo più buoni.

Allora, dove si va a finire? Tutto questo vuol dire che quel signore è illuso, che sono illuso anch'io? Che magari pur essendo stato a lungo in un posto da me ritenuto molto interessante avrei scoperto poi che in realtà non ci si sta tanto bene quanto mi era sembrato? Non vorrei escluderlo, penso che la realtà va affrontata così com'è.

Però nell'ipotesi che io non venga realmente a vivere in questi paesi è un bene o un male che io abbia queste impressioni, possibilmente false? Sarà un bene o un male che quel signore, anche se non si sente tanto felice nel posto in cui vive, pensa di conoscere un posto dove starebbe meglio?

Si tratta di credenze che non possiamo facilmente verificare, ma che purtuttavia agiscono su di noi. Sono luoghi comuni, certo, ma se ci danno una spinta in più per percepire la vita in modo più allegro?

il perfezionismo è cosa buona?

February 15th, 2012

Avendo spiegato che cosa si intenda per perfezionismo in un post precedente, resta da stabilire se sia cosa buona o meno.

Per quanto mi ricordi sono sempre stato convinto che il perfezionismo sia un atteggiamento, non dico innato, ma sicuramente instauratosi molto presto nella vita di un individuo. Mi riferisco naturalmente alle esperienze familiari nelle quali i genitori lasciano intendere momento per momento quali azioni considerino meritevoli e quali no, e poi quanto ci voglia per giungere a questo livello per il quale il nostro comportamento sarà giudicato favorevolmente.

Pertanto non mi sono veramente avventurato nel riflettere su quanto il perfezionismo sia buono o meno. Mi definivo perfezionista e basta (o per meglio dire, mi è stato detto che lo sono e l'ho preso per buono), senza intravedere una possibilità di cambiamento. Forse è per questo che mi sono convinto che fosse buona cosa. Dopotutto la cosa nota ci pare spesso quella giusta, è un fatto psicologico.

Poi sono avvenuti due fatti.

Per primo ho letto un libro in cui si parlava moltissimo di questa famosa legge 80/20, cioè il principio di Pareto. Ovviamente conosciamo tutti questo principio, cioè in molti campi della vita c'è un percorso da 20% dello sforzo che ci può far guadagnare l'80% del bene. Ma l'idea più importante del libro era un'altra, cioè: sii efficiente perché non riesci a fare tutto, ci sono troppe cose da fare.

Questo pensiero mi ha colto di sorpresa. Detto in modo generale è ovvio: non puoi fare sia il banchiere sia l'astronauta sia il chirurgo ecc., il tempo nella vita non basta. Però bisogna applicare questa regola nel modo più assoluto.

Mettiamo che devi pulire il bagno. Che fai? Potresti fare un elenco di tutti i compiti che bisogna svolgere per arrivare a questo scopo, però non ce la farai. Facendo un esame molto attento ti accorgerai che i compiti sono troppi. Bisognerebbe pulire il pavimento, il lavandino con lo specchio e la vasca, ma questo è solo l'inizio. Se ti guardi intorno più attentamente vedrai che bisogna pulire altro: la finestra non è stata lavata da tempo, la credenza con tutti i prodotti igienici sta prendendo polvere (bisogna svuotarla prima però), le pareti iniziano a scolorirsi (specialmente intorno alla vasca), e c'è perfino qualche ragnatela al soffitto. E più roba hai nel bagno più compiti ci saranno. Può darsi che tu riesca a pulire tutto questo qualche volta all'anno, ma certamente non lo fai ogni settimana allo scopo di "avere sempre un bagno pulito". Ce ne sono altre poi di stanze da pulire, no?

Bene, è questo che intendo per "troppe cose da fare". Esaminando qualsiasi proggetto o compito riscontrerai la stessa cosa, quindi bisogna sempre scegliere, bisogna sempre stabilire gli aspetti più importanti. Ed è questa la consapevolezza che finora mi sfuggiva.

Il secondo fatto è stato veder agire una persona cosiddetta perfezionista anch'essa. Mi ha un po' stupito vedere che, sebbene svolgesse i suoi compiti in modo molto attento ai particolari, non erano i particolari importanti. Cioè sarebbe un po' come insistere nell'avere la spugna adatta per pulire il lavandino, perdendo un sacco di tempo cercandola o aggiustandola, invece di pulirlo con una qualsiasi spugna disponibile.

Non ho mai pensato di agire così, ma questo mi ha fatto domandarmi se per caso non sia vero anche nel mio caso.

Oggigiorno ritengo il perfezionismo un difetto più che una virtù. Sono sempre abbastanza convinto che talvolta ci spinge a fare delle cose meglio di come le avremmo fatte senza questo impeto. Tuttavia ci fa spesso perdere tempo in imprese inutili.